martedì, gennaio 04, 2005

Eliseo Milani, rigore e passione

IL MANIFESTO
Eliseo Milani, rigore e passione
ALDO GARZIA
Del gruppo storico del Manifesto, Eliseo Milani era all'apparenza tra i più burberi. Il forte accento bergamasco e il modo diretto, a volte rude, di affrontare le questioni politiche lo rendevano all'inizio perfino antipatico. Poi è diventato il punto di riferimento di alcuni di noi più giovani, che con lui riuscivano a confidarsi ed erano ricambiati con attenzione e riguardo. Eravamo giovani da «allevare»: io, Sandro Medici, Loris Campetti, Pietro Barrera, Vincenzo Vita, Michele Mezza e tanti altri. Siamo venuti su, ognuno per strade diverse, con i suoi consigli e con la sua amicizia.Milani, quadro operaio cresciuto alla Dalmine, sapeva com'era faticoso tirar su un'organizzazione e mettere a rapporto generazioni diverse. Nel 1970, quando il gruppo del Manifesto muoveva i primi passi e non era ancora nato il manifesto quotidiano, a tirare le fila dell'organizzazione ci pensava proprio Milani dalle stanze di piazza del Grillo, sede della rivista mensile e foresteria. In quel periodo era deputato eletto nelle liste del Pci, l'unico del gruppo storico del Manifesto a essere stato per undici anni (a partire dal 1957) segretario di una Federazione comunista (per altro, una Federazione molto particolare come quella di Bergamo). Tutti i primi anni Settanta hanno avuto in Milani un perno fondamentale: prima lo scontro politico con alcuni gruppi «estremisti» a Roma che avevano aderito al Manifesto, poi la sfortunata presentazione alle elezioni politiche del 1972, poi la costruzione paziente e faticosa del Pdup, poi ancora la divisione tra giornale e partito. L'impegno parlamentare si era intanto spostato al Senato, dov'era diventato vicepresidente del Gruppo della sinistra indipendente presieduto da Claudio Napoleoni, dopo aver presieduto nel 1976 i deputati della nuova sinistra che per la prima volta erano entrati in parlamento.A un certo punto, all'inizio degli anni Novanta, il dirigente di ferro aveva iniziato a subire i colpi della malattia. Di ritorno da una vacanza a Cuba fatta insieme, aveva scoperto che qualcosa non andava in un polmone. Prima ancora aveva subito altre operazioni (lo ricordo nel 1975 in un Congresso del Pdup a Bologna muoversi appoggiato su due stampelle ma dirigere con polso fermo la commissione elettorale).Gli ultimi quindici anni, Milani li ha vissuti come un metronomo. Aveva spostato il rigore inflessibile nell'amministrazione della sua salute: poche passeggiate, stessi itinerari, rapide visite alla camera o al senato, sguardo fisso sul termometro messo sul davanzale per vedere se faceva troppo freddo o troppo caldo per uscire, dieta ferrea. Uniche distrazioni: le cene al ristorante e i poker con gli amici. Ogni tanto tornava in ospedale per un nuovo malessere e un nuovo intervento chirurgico. La tempra riusciva sempre a vincere sul male e ormai il refrain era quello di poter parlare delle tante operazioni subite «dal Milani» come se dovessero entrare nel Guinness dei primati.Eliseo, però, soffriva dell'essersi appartato dalla politica non per scelta ma per costrizione. Una volta era intervenuto in un'assemblea, non ce l'aveva fatta a stare zitto, ma poi nel pomeriggio era stato ricoverato in ospedale perché emozione e tensione gli avevano creato problemi di pressione. Dopo quell'episodio, restavano l'accanita lettura dei giornali e dei libri, le discussioni con gli amici e i compagni più vicini.C'erano delle cose precise di cui andava fiero Milani: essere ingraiano fin dal Congresso del Pci del 1966, aver organizzato nel 1963 a Bergamo una famosa conferenza con Palmiro Togliatti sui temi della pace e della guerra («il destino dell'uomo») quasi in contemporanea con l'Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris, aver iscritto Lucio Magri e Giuseppe Chiarante al Pci, aver vinto il Congresso di Federazione del Pci nel 1969 chiedendo la riscrittura delle Tesi nazionali. La vicenda successiva del Manifesto era la conseguenza naturale di quell'itinerario.Grazie al forte carattere e all'accettazione della malattia, Milani ha guadagnato almeno quindici anni di vita abituandosi alle privazioni della sua condizione. Eppure aveva sempre una battuta, una sferzata, un consiglio, un pensiero e un saluto per chi era restato nella trincea che lui aveva dovuto abbandonare. E' stato così anche lo scorso 23 dicembre, quando ci siamo visti per gli auguri di rito. Era un Milani ironico, attento alle vicende non esaltanti del centrosinistra, consapevole che un altro anno era passato e che lui lo aveva guadagnato. Mi piace ricordarlo con il suo sorriso e l'ultima battuta in bergamasco che diceva più o meno così: «Dai, vedrai che quello lì prima o poi lo rimandiamo ad Arcore».

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