martedì, luglio 31, 2012

In ricordo di Eliseo Milani di Lidia Menapace


Eliseo Milani e’ stato una grande, nobile, indimenticabile figura del movimento operaio e della lotta degli oppressi per la liberazione dell’umanita’ intera. Era un uomo molto affascinante coraggioso determinato: il coraggio lo ha dimostrato anche negli ultimi anni di vita quando sapeva e diceva di essere vivo per scommessa, eppure non cedeva al male, con una capacita’ molto elevata di resistere e persino di riderci su. Tra le persone che dettero vita al "manifesto" come impresa politica e come giornale, con altri della federazione del Pci di Bergamo e con i compagni di Napoli Eliseo era parte di uno dei pochi nuclei operai e di organizzazione che si staccarono o furono espulsi dal Pci. Segno di un grande coraggio esistenziale e politico, dato che - piu’ di altri - ebbe la capacita’ di dare giudizi distaccati e "!aici" sul grande partito-chiesa del quale aveva fatto parte. Se il resto del gruppo storico non forzo’ le uscite dal Pci, che potevano essere numerose e significative, non lo si dovette certo alla pressione di compagni come Eliseo e altri di origine operaia, che comunque si buttarono con grande convinzione nel movimento del Sessantotto, soprattutto a proposito di nuova analisi della composizione di classe, delle nuove figure operaie, della organizzazione consigliare in fabbrica, delle 150 ore e della organizzazione sociale in qualche modo diretta dalle fabbriche, che nel Sessantotto era ancora possibile, se il movimento non fosse stato arrestato, quando la organizzazione del territorio stava passando oltre i consigli di fabbrica, per avviare i consigli di zona. Non voglio comunque usare Eliseo per fare una ricostruzione critica degli errori o manchevolezze del "manifesto". Penso che mi strizzerebbe sorridendo gli occhi e mi direbbe: "Ma perche’ non parli come mangi e non dici le cose che conosci direttamente, eh Lidia!". Avevo verso di lui un affetto sincero e profondo, lo ammiravo. Anche la sua raffinatezza del vestire, la raggiunta ricchezza e precisione del parlare e insomma la sua caratteristica di intellettuale operaio erano dimostrazione vivente della grandissima opera di alfabetizzazione politica (ma ben piu’: era una cultura universitaria!) che il Pci era riuscito a diffondere nella classe operaia (e tra le donne) con le scuole di partito, con una opera molto frequente precisa programmata di costruzione di soggettivita’. Ellseo era uno dei frutti piu’ significativi di quel lavoro e anche dei piu’ schietti, dato che non ne ricavo’ mai un atteggiamento di tipo "religioso" verso il partito. Questo gli va riconosciuto perche’ non era frequente nemmeno tra gli altri "grandi" del primo gruppo del "manifesto". Voglio concludere ricordando che una estate - credo nel ’73 o ’74 - fu nostro ospite per un po’ di giorni in val di Non a Cles, dove usavamo passare le vacanze al paese natio di mio marito. Percorse una valle tutta agricola allora, interamente agricola, a parte "La frabicia", la fabbrica cosi’ unica da essere detta tale per antonomasia, ed era una fabbrica di cemento che c’e’ ancora. Allora la valle era tutta un frutteto di varie qualita’ e non una noiosa monocultura come oggi. Le stagioni erano scandite dalla fioritura dei meli, e quando era molto forte si diceva a proposito di una zona detta "Franza" (Francia): "e’ nevega’ en Franza", tanto era soffice e compatto il manto di fiori bianchi. Eliseo ascoltava le nostre chiacchiere di vallata e osservava con curiosita’ il fitto tessuto agricolo e la presenza contadina che nella Bergamasca non esisteva piu’, dato che Bergamo e Brescia erano province di antica e diffusa industrializzazione, e discuteva sul perche’ zone di cosi’ profonda radice cattolica si differenziassero tanto nelle scelte politiche e di voto. Era la struttura produttiva che consentiva nella Bergamasca una significativa presenza comunista e un fervido dibattito tra i cattolici e nella val di Non solo di democristiani. A un certo punto ci siamo un po’ persi di vista e ci incontravamo occasionalmente nelle stazioni (tra i luoghi che frequento di piu’) e dove anche Eliseo si poteva trovare quando si muoveva tra Roma (dove si era alla fine trasferito) e Bologna dove aveva sua figlia. Credo che anche lui mi volesse bene in quel suo modo schivo e un po’ rustico, da bergamasco. Ma del resto io pure sono montanara. ____________________

16 novembre 2006

Brevi note biografiche di ELISEO MILANI 

Eliseo Milani nasce a Ponte San Pietro (Bg ) il 16 Febbraio 1927, e proprio nella provincia di Bergamo comincia la sua attività lavorativa e politica.

Operaio della Dalmine, comunista, leader di mille battaglie e infaticabile organizzatore, diventa negli anni ’60 segretario della Federazione bergamasca del PCI: un ruolo difficile in una zona bianca e clericale, dove la sinistra era da sempre minoritaria.

Attorno a lui e all’originale esperienza della rivista “Dibattito politico”già dalla metà degli anni ’50 era cresciuto uno straordinario gruppo di dirigenti politici come Lucio Magri, Giuseppe Chiarante, Franco Petenzi.

Nel 1968 viene eletto deputato nelle file del PCI , carica che confermò per altre tre legislature.

Nel maggio 1969 fu fondatore insieme a Rossana Rossanda,Luigi Pintor,Lucio Magri e Aldo Natoli della rivista “ IL MANIFESTO “.

Radiato dal PCI nel Dicembre del ’69 come appartenente al gruppo “ eretico”, aderì al PDUP di cui fu dirigente di spicco .

Fu eletto Senatore della Sinistra indipendente : le sue precarie condizioni di salute gli imposero un graduale abbandono dalla politica, anche se mai rinunciò alla collaborazione con il “ Centro di riforma dello Stato” di Pietro Ingrao.

Eliseo Milani muore a Roma il 29/12/2004

La sua azione politica , le sue numerose battaglie parlamentari ,la sua capacità comunicativa ci hanno fornito un’autentica lezione politica .

Eliseo Milani , ci ha insegnato come si deve fare la politica : con passione, con idee,con generosità insomma con la testa e il cuore

mercoledì, novembre 30, 2011

Il motorino di Magri e Notarianni

Il motorino di Magri e Notarianni

Lucio Magri Rossanda e Milani
Ho  ricordi sporadici ma vivi di Lucio Magri. La sua scomparsa mi ha sorpreso, addolorato. Rileggo le ultime righe del suo ultimo libro, "Il sarto di Ulm". Dove incita a uscire “dai confini dell’integrazione o della rivolta”, per perseguire una rifondazione della tensione ideale anche cercando il "rapporto con altre culture, altre soggettività esterne e a volte conflittuali con la nostra tradizione", per costruire "una sintesi provvisoria in ogni momento" . Purchè in questo rapporto "ciascuno valorizzi la sua ricchezza e identità".
L’ultima volta che l’ho visto, qualche anno fa,  eravamo entrambi in attesa, all’alba, dell’apertura di un’edicola, nel piccolo porto di Sant’Angelo a Ischia.  Mi parlava di comuni conoscenze cominciando da Eliseo Milani e da quella sua Bergamo  dove Togliatti aveva parlato di “sofferta coscienza religiosa”.
Lo avevo conosciuto (anni sessanta) in un viaggio “politico” in Jugoslavia, con una delegazione del Pci. Eravamo ospiti a Opatija (Abbazia) nei tempi dell’autogestione di Tito. Lo ricordo in riva al mare con tra le mani un poderoso volume di György Lukács. Durante ogni riunione con i rappresentanti del partito ospite faceva domande impertinenti sul futuro dell’autogestione. Non si accontentava di quanto dicevano e aveva una fissazione: “Quando pensate che sarà superato il mercato?”. Una domanda che oggi, mentre siamo preda dell’ira funesta dei mercati mondiali, potrebbe far riflettere. E le sue uscite facevano imbestialire un anziano compagno della delegazione italiana che, immagino, lo avrebbe radiato anzitempo.   
L’ho rivisto altre volte. Ad esempio a una Festa dell’Unità a Bologna, quando una voce dalla platea gridò “abbronzato!” denunciando le passioni sciistiche di Lucio e cercando così in qualche modo di offenderlo. Ma la foto più bella che ho nella testa è sotto il portone di casa mia. C’erano Lucio Magri e Michelangelo Notarianni (prima “Unità” e poi “Manifesto”) e cercavano insieme di far partire  uno scassato motorino. E alla fine l’aggeggio partiva. E loro, abbracciati, si allontanavano allegramente.
29 novembre 2011

mercoledì, dicembre 02, 2009

Eliseo, a sinistra della sinistra

Eliseo, a sinistra della sinistra
Cercò una via d' uscita dalla crisi del comunismo collegando il Pci ai movimenti studenteschi

Ci sono molti buoni motivi per ricordare un uomo come Eliseo Milani, che se ne è andato, a 77 anni, il 28 dicembre. I principali li hanno spiegati bene sul «Manifesto» e su «Liberazione» i vecchi amici e compagni di Eliseo, da Lucio Magri a Rina Gagliardi. E a una riflessione più attenta sugli insegnamenti di una vita difficile ma non inutile, nonostante sia stata segnata da tante sconfitte, sarà dedicato (bella iniziativa) un seminario. Ma, se è vero che cercare di ricostruire una storia collettiva di questo Paese non significa mettersi in caccia di rassicuranti denominatori comuni, ma prima di tutto guardar meglio dentro tante esperienze diverse e sottrarle per quanto possibile ai luoghi comuni e alle letture caricaturali, forse è bene riprendere qualcuno almeno degli spunti che già sono stati offerti per ricordare Milani anche a lettori assai distanti da un' esperienza come la sua. La vicenda di Eliseo, solo all' apparenza minore, sta tutta dentro una vicenda e, se si vuole, un' illusione più ampia, che ha riguardato non Pietro Ingrao, ma una parte importante e prestigiosa di quella particolarissima comunità che fu la sinistra del Pci. La vicenda (e l' illusione), intendo, di chi pensò, a ridosso del ' 68, che fosse possibile una via d' uscita «da sinistra» dal fallimento del comunismo sovietico riconnettendo un pezzo almeno dell' esperienza del Pci ai nuovi movimenti, studenteschi e operai in primo luogo, che avevano occupato la scena: in poche parole, la vicenda (e l' illusione) del gruppo del Manifesto, molto meno di un partito, anche dopo la radiazione dal partito, molto più di una rivista mensile prima, di un «quotidiano comunista» poi. Quale ruolo ebbe in questa storia Eliseo Milani negli anni successivi è cosa importante per chi li visse dall' interno, ma qui interessa relativamente poco. Più significativo, forse, è un dettaglio. Nel gruppo dei fondatori, tra tanti intellettuali politici anche di primissimo piano (Rossanda, Pintor, Natoli, Magri, Parlato, Castellina), Milani era l' unico «quadro» di origine operaia: i suoi primi passi di militante comunista, in una città per definizione bianca, Bergamo, dove i comunisti erano sempre stati e sarebbero sempre rimasti una modesta minoranza, li aveva infatti mossi alla Dalmine. Poi, negli anni Cinquanta, era diventato funzionario del partito; e, all' inizio dei Sessanta, segretario della federazione. Chi ha conosciuto Milani sa quanto tutto questo abbia contato anche nella sua militanza a sinistra della sinistra: l' uomo concreto, l' organizzatore di partito, ebbe la meglio, sempre, sugli astratti furori dell' estremismo. Di certo, però, non diventò mai un burocrate o un settario. Non lo era mai stato. Operaio, attentissimo ai problemi della fabbrica, promotore di mille lotte sindacali, non fu mai operaista. Segretario del Pci di Bergamo «reclutò», come si diceva allora, il meglio della giovane intellettualità cattolica delle sue parti, a cominciare dallo stesso Magri e da Beppe Chiarante. Dirigente della sinistra extraparlamentare, fu parlamentare apprezzato da amici e avversari. Ruvido e burbero, non smarrì mai, fino all' ultimo, pazienza e ironia. Contraddizioni? Anche. Ma la «semina» del Pci togliattiano (puer robustus ac malitiosus) non fu davvero estranea alla crescita di personalità di questo tipo, che pure la crisi di quel partito la vissero e, in buona misura, la promossero.

Franchi Paolo


Pagina 35
(7 gennaio 2005) - Corriere della Sera
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