mercoledì, dicembre 02, 2009

Eliseo, a sinistra della sinistra

Eliseo, a sinistra della sinistra
Cercò una via d' uscita dalla crisi del comunismo collegando il Pci ai movimenti studenteschi

Ci sono molti buoni motivi per ricordare un uomo come Eliseo Milani, che se ne è andato, a 77 anni, il 28 dicembre. I principali li hanno spiegati bene sul «Manifesto» e su «Liberazione» i vecchi amici e compagni di Eliseo, da Lucio Magri a Rina Gagliardi. E a una riflessione più attenta sugli insegnamenti di una vita difficile ma non inutile, nonostante sia stata segnata da tante sconfitte, sarà dedicato (bella iniziativa) un seminario. Ma, se è vero che cercare di ricostruire una storia collettiva di questo Paese non significa mettersi in caccia di rassicuranti denominatori comuni, ma prima di tutto guardar meglio dentro tante esperienze diverse e sottrarle per quanto possibile ai luoghi comuni e alle letture caricaturali, forse è bene riprendere qualcuno almeno degli spunti che già sono stati offerti per ricordare Milani anche a lettori assai distanti da un' esperienza come la sua. La vicenda di Eliseo, solo all' apparenza minore, sta tutta dentro una vicenda e, se si vuole, un' illusione più ampia, che ha riguardato non Pietro Ingrao, ma una parte importante e prestigiosa di quella particolarissima comunità che fu la sinistra del Pci. La vicenda (e l' illusione), intendo, di chi pensò, a ridosso del ' 68, che fosse possibile una via d' uscita «da sinistra» dal fallimento del comunismo sovietico riconnettendo un pezzo almeno dell' esperienza del Pci ai nuovi movimenti, studenteschi e operai in primo luogo, che avevano occupato la scena: in poche parole, la vicenda (e l' illusione) del gruppo del Manifesto, molto meno di un partito, anche dopo la radiazione dal partito, molto più di una rivista mensile prima, di un «quotidiano comunista» poi. Quale ruolo ebbe in questa storia Eliseo Milani negli anni successivi è cosa importante per chi li visse dall' interno, ma qui interessa relativamente poco. Più significativo, forse, è un dettaglio. Nel gruppo dei fondatori, tra tanti intellettuali politici anche di primissimo piano (Rossanda, Pintor, Natoli, Magri, Parlato, Castellina), Milani era l' unico «quadro» di origine operaia: i suoi primi passi di militante comunista, in una città per definizione bianca, Bergamo, dove i comunisti erano sempre stati e sarebbero sempre rimasti una modesta minoranza, li aveva infatti mossi alla Dalmine. Poi, negli anni Cinquanta, era diventato funzionario del partito; e, all' inizio dei Sessanta, segretario della federazione. Chi ha conosciuto Milani sa quanto tutto questo abbia contato anche nella sua militanza a sinistra della sinistra: l' uomo concreto, l' organizzatore di partito, ebbe la meglio, sempre, sugli astratti furori dell' estremismo. Di certo, però, non diventò mai un burocrate o un settario. Non lo era mai stato. Operaio, attentissimo ai problemi della fabbrica, promotore di mille lotte sindacali, non fu mai operaista. Segretario del Pci di Bergamo «reclutò», come si diceva allora, il meglio della giovane intellettualità cattolica delle sue parti, a cominciare dallo stesso Magri e da Beppe Chiarante. Dirigente della sinistra extraparlamentare, fu parlamentare apprezzato da amici e avversari. Ruvido e burbero, non smarrì mai, fino all' ultimo, pazienza e ironia. Contraddizioni? Anche. Ma la «semina» del Pci togliattiano (puer robustus ac malitiosus) non fu davvero estranea alla crescita di personalità di questo tipo, che pure la crisi di quel partito la vissero e, in buona misura, la promossero.

Franchi Paolo


Pagina 35
(7 gennaio 2005) - Corriere della Sera

Eliseo Milani, una storia comunista

Eliseo Milani, una storia comunista


Per come era, per le scelte difficili da lui compiute, per dove si è trovato
a compierle, per il loro risultato concreto, la sua vita rappresenta un
pezzo sconosciuto della storia dei comunisti italiani. Dal Pci al
Manifesto, il percorso ricco, tenace e tormentato di uno dei fondatori di
questo giornale. Un'esperienza, la sua, che anche ora offre molto da
imparare

Eliseo Milani, una storia comunista
di LUCIO MAGRI


Eliseo Milani è stato per me, in modo diverso ma non meno profondo di
Michelangelo Notarianni, l'amico e il compagno di una vita. Tocca perciò
a me scriverne nel giorno della sua morte, tanto più dolorosa e inattesa
dopo che molti anni di malanni tanto gravi ci avevano persuasi non
sarebbe mai venuta. La malattia l'aveva condannato a troppa solitudine.
Che genera, almeno in me, un pesante senso di colpa che darebbe
comunque una sfumatura di ipocrisia a qualsiasi elogio funebre. Del
resto mi manca la penna raffinata e l'acutezza psicologica per
tratteggiare una personalità così sensibile sotto la sua scorza così
ruvida. Sono del resto troppo ostico per esprimere i miei sentimenti nei
momenti di commozione più intima. Non è un male, forse: perché a un
elogio funebre sfuggirebbe la cosa più importante. Il fatto cioè che
Eliseo Milani, per come era, per le scelte difficili compiute, per dove si è
trovato a compierle, per il loro risultato concreto, rappresenta un pezzo
sconosciuto della storia dei comunisti italiani. La sua vita reale
accuratamente raccontata dall'origine, offrirebbe ai futuri storici materiali
forse più ricchi e più equanimi che non la lettura di tanti verbali della
direzione del Pci volutamente elusivi, e di tanti dibattiti di comitati
centrali sempre espressi in cifra e dunque da decifrare; e dare invece
un'idea di ciò che il Pci è realmente stato, e anche di ciò che forse
poteva diventare. E tanto più per sovvertire un'immagine adulterata oggi
prevalsa, quella di un partito burocratizzato e fideistico, di una storia di
ristretti gruppi dirigenti, e per di più di una storia «dei vincitori che si
sono alla fine riconosciuti sconfitti e pentiti». Ma per raccontare quella
vita occorrerebbero ben più che poche ore sovrastate dalle emozioni, e
ben più che poche cartelle. Mi limiterò quindi, per giustificare questa
affermazione e indicare alcuni punti per un lavoro di ricerca.
Una vita nel «partito nuovo»
La vita di Milani testimonia anzitutto nella sua concretezza come il
partito nuovo di Togliatti non sia rimasto una intuizione di breve
stagione subito soffocata dalla guerra fredda e dalla ortodossia
neocominternista, e sopravvissuta solo come apertura agli intellettuali e
ai ceti medi, come accorta gestione delle alleanze politiche. Il nocciolo
di quell'ipotesi era trasformare i proletari in vera classe dirigente
nazionale.
Eliseo era troppo giovane per partecipare alla guerra partigiana, la sua
è la generazione politica degli anni Cinquanta.
Era di famiglia contadina, in una provincia, Bergamo, cattolica e
conservatrice, dove i comunisti erano e rimasero sparuta minoranza.
Andò a lavorare già a 11 anni e nei corsi aziendali della Dalmine prese il
diploma di scuola media, e come tornitore e rimase a lavorare studiando
la sera per diventare perito tecnico. E' dalla concreta vita operaia che
arrivò al comunismo. Ricordava sempre, con giusto orgoglio, di uno
sciopero generale nazionale che fece da solo, notificandolo all'azienda,
perché non sembrasse un'assenza occasionale.
Furono anche queste testimonianze pratiche, comunque, che lo
aiutarono a far crescere politicamente un gruppo di operai che cominciò
a contare nella fabbrica, rompendo l'isolamento del Pci e superandone il
settarismo. Proprio alla Dalmine, qualche anno dopo, si realizzò così la
prima esperienza di una conferenza operaia comunista costruita
sull'inchiesta, centrata sull'analisi delle innovazioni intervenute
nell'organizzazione del lavoro, di cui Amendola, presente, colse il
valore, sì da proporre di generalizzarla nella preparazione della
conferenza operaia nazionale, in parallelo con la grande svolta avviata
dalla Cgil dopo la sconfitta alla Fiat. Eliseo era stato nel frattempo
chiamato al ruolo di funzionario di partito, e presto, a quello di segretario
della federazione di Bergamo.
Funzionario: che brutta parola oggi, ma cosa era allora un funzionario,
soprattutto in quella zona? Era uno che, rinunciando a un lavoro certo e
ben avviato accettava di vivere con una retribuzione più bassa che
spesso non arrivava mai e che si doveva alimentare con la
sottoscrizione in sezioni disperse che si riunivano in piccole osterie; che
dormiva su una branda in un angolo dell'ufficio: che passava le poche
ore libere al caffè della Camera del lavoro, una specie di «centro sociale
ante litteram».
Altro che casta burocratica. A diventare assessore e parlamentare
allora non ci si pensava neppure: quella appariva quasi come una
diminutio capitis, solo un riconoscimento finale di una vita bene spesa.
In attesa di una rivoluzione prossima? Non scherziamo: il `48 era già
alle spalle e a Bergamo sapevamo quanto lunga fosse la strada. Nel
frattempo si lavorava oltre che a costruire lotte a formare quadri. Ed Eliseo visse come grande occasione la scuola delle Frattocchie.
Un indottrinamento? Anche qui, non scherziamo: a quei tempi gli
insegnanti delle Frattocchie erano Cafagna, Caracciolo, Spinella e così
via.
Il segretario del dialogo
Quale fu poi più avanti il Milani segretario? Un burocrate o un
sacerdote operaista? L'esatto contrario. Oltre all'ininterrotta cura dei
collettivi di fabbrica , quando, per la prima volta alla fine del
volantinaggio ci trovammo di fronte intere grandi aziende da cui i
lavoratori uscivano in massa per venire in piazza ( il grande salto del
luglio `60 ) Eliseo permetteva lunghe, periodiche riunioni del comitato
federale per studiare la storia d'Italia, curava con attenzione l' intervento
in consiglio comunale dove un partito all'indice,e con il 9 per cento dei
voti, ripetutamente riusciva a trascinare socialisti, ma anche
socialdemocratici e liberali, sui grandi temi del piano regolatore, degli
abusi edilizi perpetrati nel quadro delle nuove lottizzazioni patrocinate
dal vescovo Bernareggi e da Carlo Pesenti. Infine, forse soprattutto,
Eliseo avviò un coraggioso dialogo con i cattolici, non solo come alleati
possibili, ma come comprimari, voluti e bene accetti. I dirigenti della
gioventù cattolica bergamasca, grazie a quel dialogo, non solo si
avvicinarono, ma diventarono parte integrante del vertice della
federazione comunista. Non a caso fu Milani a promuovere l'assemblea
in cui Togliatti pronunciò il famoso «discorso di Bergamo». Un discorso
che dava all'alleanza con i cattolici una valenza strategica.
Del dissenso, dell'equilibrio, dell'energia
E' da questo intreccio di esperienze, di lotta e di maturazione culturale
innovatrice, che nacquero nel Pci - certo non solo a Bergamo, ma un
po' ovunque, per mille rivoli e con molti diversi approdi nel sindacato e
nel partito - i primi embrioni di una minoranza non ufficializzata ma non
irrilevante, che in seguito - quando fu trovato un riferimento nazionale,
culturale e politico - prese il nome di ingraismo. Una sinistra non
dogmatica e non settaria, che giocò, anche fuori dal Pci, la sua partita
negli anni Sessanta e fu poi sconfitta e in parte repressa all'XI
congresso del 1965. Ma che lasciò tra intellettuali e sindacalisti corpose
sedimentazioni, e cercò di rilanciare la sfida di fronte al ben più maturo
appuntamento del `68.
Quel lavoro precoce di Milani fu riconosciuto e gli valse l'ingresso nel
Comitato centrale. Ma fu il solo segretario di federazione che all'XI
Congresso non si allineò e ne venne subito escluso. Quando in due
decisive occasioni, prima Lama e poi Scheda, vennero a presiedere il
Congresso della federazione di Bergamo e chiesero ai compagni discegliere tra la posizione del Comitato centrale e le critiche opposte da
Eliseo, essi furono messi in minoranza. Milani era un dissidente, ma
aveva un largo sostegno di base e questo fu il solo caso di dissidenza
che resse anche alla radiazione del Manifesto nel `69. Milani si unì al
nostro gruppo, e con lui i migliori quadri intellettuali e operai
dell'organizzazione, assumendovi un ruolo dirigente.
Del ruolo che egli ebbe, del peso che conquistò in questa nuova
esperienza non ho lo spazio ora di parlare come si dovrebbe. Ma vorrei
che dicessero qualcosa altri compagni che pure hanno tutti gli elementi
per farlo e aiuterebbero a correggere una sottovalutazione e un silenzio
non innocente che più tardi si creò su di lui. Lo vorrei perché questo
silenzio è connesso ad un punto delicato di quella nostra vicenda. Cioè
ad una, in parte inconsapevole convinzione, secondo la quale
trovandoci dopo la radiazione con idee certo anticipatorie ma molto
controcorrente, con un'identità specifica, alla frontiera tra il Pci e i nuovi
movimenti, ma senza una base precisa, sia stato un puro errore cercare
di far vivere quella identità con una piccola organizzazione,
un'autonoma elaborazione e un giornale quotidiano ad essa connesso.
Onestamente credo che da quella scelta nacquero anche molti errori di
analisi e di comportamento, ma più che mai sono convinto che fosse un
rischio da correre e che abbia lasciato frutti positivi e ingiustamente
lasciati disperdere.
Eliseo fu un pilastro di quel tentativo e lo sorresse nel modo migliore
con la tenacia, l'equilibrio, l'energia che erano legati al suo passato. E lo
restò finché fisicamente gliene restarono le forze. La stessa energia, il
tratto genetico, con cui affrontò poi per più d'un decennio, una battaglia
individuale ma ancor più eroica contro la malattia per conquistare ogni
giorno un pezzo in più di vita, forse non più per cambiare il mondo ma
per continuare a capirlo senza piegarsi, senza sentirlo estraneo, ma
anzi restando attento e partecipe. Non credo che di fronte alla sua
morte, si possa dire nulla di più grato e lusinghiero del riconoscere che
quella vita non solo è stata spesa bene a suo tempo ma che anche ora
offre molto da imparare.
il manifesto - 29 Dicembre 2004

Grazie Eliseo
VALENTINO PARLATO


Nella notte del 28 dicembre Eliseo Milani ci ha lasciato. In questa
cerimonia degli addii il manifesto e tutti noi che ancora ci lavoriamo
abbiamo il dovere, non rituale, di ringraziare Eliseo e dirgli: caro Eliseo,
senza di te questo giornale - del quale tu hai fondato la cooperativa editrice 34 anni fa - non ci sarebbe e noi, tutti quanti, chissà quale
mestiere avremmo fatto, in quale modo avremmo cercato di esprimere
la nostra pulsione politica. Eliseo era un operaio della Dalmine, lontano
dalle avventure politico-intellettuali, ma proprio in quanto operaio
credeva nella forza della parola, del ragionare, del discutere e
possibilmente convincere. Lo aveva provato nella sua fabbrica, nelle
interruzioni di mensa, all'uscita dai cancelli. E - credo io - per questo suo
riflettere sul conversare con gli altri operai, Eliseo capì e sostenne la
pubblicazione di un quotidiano che, presuntuosamente, si autodefiniva
«comunista». Ha approvato l'avventura, ormai più che trentennale di
questo quotidiano e ha avuto anche la saggezza di capirne e tollerarne
gli sbagli. E' stato quello che meglio ha capito anche i contrasti che ci
potevano essere e ci sono stati tra quotidiano e organizzazione politica.
Non possiamo che essergliene grati. Ammetto di tirarlo un po' troppo
dalla parte del giornale. Eliseo, a questo punto, mi avrebbe guardato
negli occhi e mi avrebbe detto: «Va bene, ma non esagerare.
Cerchiamo di fare qualcosa di utile in questo momento di grande
confusione».
il manifesto - 29 Dicembre 2004


Milani, l'addio a Roma
GALAPAGOS


Un cielo terso, una giornata luminosa e un sole caldo hanno reso meno
triste l'addio a Eliseo. O meglio: l'arrivederci, perché come ha anticipato
Lucio Magri entro febbraio alla figura di questa straordinaria figura di
militante-dirigente politico sarà dedicato un convegno. Un'occasione che
permetterà di ripercorrere almeno 50 anni di storia della sinistra, di
idealità, di lacerazioni, ma soprattutto di passioni e di impegno politico.
L'appuntamento era per le 11, ma almeno un' ora prima fuori della
Camera ardente del Policlinico di Roma, erano già in molti ad attendere
l'esposizione della salma per dare l'ultimo saluto a Eliseo. Volti tristi,
volti di compagni, di «vecchi» compagni, alcuni dei quali arrivati da fuori
Roma. In un angolo, vicino alla bara, la figlia Marina, il fratello Fabrizio
(straordinaria somiglianza con Eliseo) e le sorelle Tina e Angela.
Ai piedi della bara tantissimi fiori e un cuscino di rose rosse della nostra
redazione. A Eliseo i fiori piacevano: ogni volta che lo invitavo a cena a
casa ne portava un mazzetto.
Tanti amici hanno salutato Eliseo. E fra la sorpresa generale verso le
12 a rendergli omaggio è comparso anche Mirko Tremaglia, ministro per
gli italiani all'estero e fascista doc. Erano uniti dalla comune terra di
nascita, ma anche da un rapporto che non credo fosse di amicizia, ma di stima e di rispetto sicuramente sì.
Tanta gente è venuta all'appuntamento. E moltissimi tra i presenti
erano legati al manifesto, inteso sia come movimento politico e come
quotidiano. E poi rappresentanze politiche di tutti gli schieramenti (tanti)
della sinistra e di organizzazioni come Arci e Legambiente. Per
Rifondazione erano presenti Bertinotti, Sandro Curzi, Russo Spena; tra i
Ds Giuseppe Chiarante (fu Eliseo a iscriverlo con Magri al Pci) e
Giovanni Berlinguer. Poi delegazioni della Fiom e del Comune di Roma.
E' stato un Lucio Magri molto commosso, compagno di tante lotte, a
tenere l'orazione funebre. Magri ha dato una lettura della vita dell'uomo
intrecciandola fortemente con il ruolo politico. Ha ripercorso gli inizi della
sua militanza politica nella federazione del Pci di Bergamo, dove è stato
segretario per 11 anni a partire dal `57. Il suo orgoglio operaio, la
convinzione che la classe operaia fosse matura per farsi classe
dirigente. Ha ricordato le sue battaglie per la democrazia nel partito. E
poi l'estromissione del comitato centrale, ma l'elezione fortemente
voluta a deputato. La battaglia al XII congresso del Pci nel `69, nel
quale la Federazione di Bergamo chiese la riscrittura delle Tesi.
Poi la dolorosa «uscita» non voluta dal Pci. E sull'onda della rivista
mensile, la nascita del manifesto e il suo impegno tenace
nell'organizzazione del piccolo partito. Milani, bergamasco doc diventa
romano e vive - lui così discreto - l'esperienza della «comune» di piazza
del Grillo. Eliseo inizia a questo punto un diverso percorso politico:
viene eletto di nuovo deputato e poi senatore sempre coerente con le
sue idee politiche originarie. Infine la malattia. Grazie Eliseo.

il manifesto - 31 Dicembre 2004
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